martedì 28 giugno 2011

Coccole

Quella sera non c'era luna piena, era un giorno qualunque, una domenica come tante altre passate in ciclofficina a riparare bici incidentate.
Si era trovato con Silvia per sistemare una ruota malconcia. Insieme ce l'avevano fatta non senza intoppi. Però alla fine la bici funzionava bene e il fare insieme aveva rinsaldato anche il loro umore.
Decisero di mangiare da lui, non lontano dalla ciclo. Era sera tarda, le pizzerie erano già chiusa.
Fecero l'alba a parlare seduti sul terrazzo l'uno di fronte a l'altro mentre i vicini riposavano silenziosamente.
Dormirono insieme.
Erano due reduci, ognuno con le proprie storie diverse. Ma non era importante. Non c'era da sapere molto. Bastava la loro fragile umanità, la sensibilità non comune.
Da più di otto anni non passava la notte abbracciato con una ragazza. Però era tranquillo. Sapeva cosa voleva. Glielo disse con semplicità.
Lei acconsentì. Era quasi ovvio, scontato.
Senza dire nulla poteva succedere di tutto. Bastava stare vicini con i corpi a contatto, abbandonati alle proprie sensazioni.
Nel buio della notte fece capolino anche la parola “coccole”. Un lemma strano, capace di contenere tutto e niente.
Lui stava bene, non cercava né voleva fare altro.
Si sentiva libero, sciolto da tutto, da ogni impegno e responsabilità. Non sarebbe accaduto nulla più.
La mattina si sveglio presto.
Si strinsero insieme con forza, le baciò la spalla delicatamente, poi si alzò.
Alleggerito da ogni desiderio voleva solo continuare per la sua strada come ogni giorno. Nell'attesa del risveglio della compagna prese il solito libro, cominciò a studiare con piacere sollevato da tutto. Poi mangiarono insieme prima di confondersi nella mischia quotidiana, rinfrescati intimamente dalla presenza dell'altro.

lunedì 20 giugno 2011

Lazzaretto

Venerdì la mamma è stata trasferita in ambulanza al Santo Stefano.
L'ospedale è in riva al mare.
Soltanto pochi metri e ci si potrebbe bagnare, non fosse per la ferrovia invalicabile come un muro di cinta.
Il paradiso a una spanna eppure lontanissimo.
Però lo si può mirare dalle vetrate del secondo piano.
Uno spettacolo bellissimo e lacerante per chi sta chiuso lì dentro in attesa di chissà quale miracolo.
Appena entrati dalla porta d'ingresso principale si viene investiti da uno stuolo di freak in carrozzella liberi di girare tra le piazzette e le vie di raccordo tra uno stabile e l'altro. Persone deformi, diversamente abili e coscienti sorridono beote in continuazione. Nonostante la testa storta, il volto deturpato, la mancanza di un arto. C'è chi si sposta in carrozzella mosso da un solo piede come fosse sullo skate. Però va lento.
Con movimenti catatonici si avvicinano a te.
Vogliono qualcosa, un contatto. O sono semplicemente curiosi.
Per attirare l'attenzione sorridono intercalando note monotone.
Hi hi...
He he...
Non stanno male.
Eppure sembrano non poter uscire dai confini dell'ospedale.
Sull'asfalto c'è pure disegnata la corsia preferenziale per le carrozzine, vicino l'uscita un sottopassaggio utile per raggiungere un giardino chiuso da una rete metallica al di là della statale. Però è vuoto. Nessuno di loro sembra interessato a confrontarsi con la realtà là fuori. Meglio evitare di dare spettacolo di fronte a un pubblico indifferente non in grado di apprezzare.

venerdì 3 giugno 2011

Festa della res publica

La stazione di Bologna è stracolma di gente ansiosa di bagnarsi nell'acqua opaca della riviera. Sono gli stessi pendolari di tutti i giorni. Hanno cambiato un po' il look oggi più turistico. Comunque sommesso e triste nonostante i colori primari esibiti, il rosso, il giallo, il blu. Non è facile coprire il solito grigiore quotidiano. È una questione endemica non risolvibile lavorando solo sulla superficie. Basta grattare un po' per fare emergere quel colore indelebile.
In ogni caso oggi è giorno di festa. La massa ordinata prova a sorridere, a essere più disponibile. C'è spazio solo per il divertimento, per la vacanza. Poi domani si cambierà regime. Si riprenderanno i più usuali panni.
Il treno arriva sul binario.
La gente comincia a salire uno alla volta come una mandria di buoi prima di essere marcata.
È una questione di numeri.
Fin quando una somma illimitata di persone può riempire uno spazio finito?
Con il passare del tempo si arriva alla soglia limite, ogni spazio viene riempito. Eppure non tutti riuscono a prendere posto. Occorre un ulteriore sforzo.
Espirare tutti insieme!
Ora!
Interstizi minimi si aprono.
È il momento di salire, di infiltrarsi tra un viaggiatore con gli occhiali da sole, una valigia cubica immensa.
Fiuh...
Alla fine salgono tutti.
In silenzio, senza protestare.
In attesa della destinazione finale.
Solo qualche pensionato memore di tante battaglie collettive non riesce a trattenere la rabbia.
Tanti sforzi per arrivare a questo punto morto.
Una sconfitta destrutturante, non ricomponibile.
Per avere più spazio e magari trovare un angolo dove sedermi vado in prima classe. Non prima di essermi aperto il cammino con il machete attraverso una selva impenetrabile di corpi, borse.
I buoi ammassati nei corridoi non osano oltrepassare tale soglia limite.
E se poi mi fanno la multa?
Nonostante l'assurdità della situazione a prevale è ancora il senso di colpa. Alla fine sembra più importante assecondare fino in fondo regole inutili per applicarle alla lettera contro ogni evidenza. Il popolo esecutore ha appreso bene la lezione. Solo così si può entrare a far parte del meccanismo amministrativo burocratico della res publica. Basta agire conformemente, senza fare mai domande. Soprattutto non ribellarsi mai.
Trovo “posto” per terra. Tra le due file di poltrone del vagone di prima classe.
Incurante di tutto mi seggo.
Grave errore...
Bisognava essere più previdenti. Dare prima uno sguardo attorno, asccoltare le sensazioni sottili.
Appena poggiato con le spalle sulla poltrona di plastica morbida vengo investito da un fiume lagnoso di parole.
Due vecchiette di Sassuolo votate al culto mariano della grande madre parlano a ruota libera. Davanti mi scorre tutta la loro vita.
In ordine di apparizione si materializza la storia dettagliata della vita dei nipotini, poi la madonna, il culto del rosario. Scopro così l'esistenza di un bambino operato ai testicoli. Nessuno lo deve sapere. Soprattutto i compagni di classe. Per loro è frattura di un arto! Poi vengono citate in ordine alfabetico uno stuolo di suore clarisse, tutti i luoghi di culto tra Fatima e Majugorje.
Ma la cosa più sorprendente è il look pitonato chiaro di una delle due vecchiette. Stride con l'immagine usuale della fedele praticante. Che sia l'ultima frontiera per avvicinare la fede alla vita di tutti i giorni?
Con il passare del tempo la gente comincia a scendere.
Qua e là si liberano qualche posto.
Una signora al mio fianco con una valigia nera scivola silenziosa verso la poltrona. Ne prende possesso. Poi avvicina piano piano la borsa senza fare rumore. Una volta seduta rimane lì tutto il tempo senza battere ciglia con la mano protesa sopra provando a scomparire tra il blu plastificato della tappezzeria.
In tutto questo miscuglio grigio tristezza a non tacere, oltre le due inarrestabili vecchiette, è l'altoparlante del vagone.
Attenzione!
Ci scusiamo con i viaggiatori per il ritardo di quindici minuti.
Amen!