sabato 30 luglio 2011

The fly

Quanto rimasto della zia aveva ingaggiato una dura lotta per la sopravvivenza. Nulla era risparmiato. Il computer di bordo seppur scassato aveva ricominciato a girare. Era necessario un piano d'emergenza. Subito! Senza esitazione alcuna. Andava fatta un'attenta analisi della situazione per valutare cosa salvare, cosa utilizzare nell'evenienza. Bisognava stringere alleanze, tagliare i rami morti. Non c'era tempo per ulteriori riflessioni sulla propria miseria. Ogni energia andava canalizzata per agire più velocemente possibile con il minimo spreco. Una lucida follia si era impossessata della zia. Resistere a qualsiasi costo. L'unico nipote rimasto era stato inglobato nel suo delirante progetto. A quanto pare ne rappresentava un tassello imprescindibile. Per questo veniva messo alla prova.
Quanto mi ami... quanto posso contare su di te.
Solo l'amore come un laccio invisibile sarebbe riuscito a legarlo al suo corpo.
Senza sarebbe stata perduta. Null'altro al mondo avrebbe potuto trattenerlo a lei. Così appena entrava nel suo mirino gli chiedeva di espletare compiti basilari.
Sollevami dal letto...
Dammi da bere...
Guarda qui... indicando le ferite ancora aperte.
Ma soprattutto accettami per quello che sono.
Amami incondizionatamente al di là di tutto. Della mostruosità, degli umori, dei liquidi fatiscenti.
Amami e basta. Senza fiatare.
E se non ti viene naturale, imponitelo.
Ma tutto doveva partire dal corpo, dalla sua cura, dalla manipolazione pratica.
Toccami...
Non stare lì a fare niente.
Accarezzami!
Donami il tuo amore sennò muoio.
Senza sono nuda, indifesa.
Fa tanto freddo.
Ricoprimi d'affetto.
È tutto quanto può ancora salvarmi.
Ma le cose non stavano così.
Tutt'altra cosa la realtà rispetto le fiabe.
Per il nipote veniva più naturale prendere le distanze agito da una tensione al basso ventre, dalla nausea soffocante.
Quanto sarebbe durato ancora il girone del vomito?
Ma forse il problema era ancora più grande.
Quel letto in mezzo alla stanza era diventato il sinedrio circondato dalla folla inferocita.
Un mondo con le sue regole pronto a giudicare e a condannare il deviante di turno se messo in discussione. Per una parte contava solo l'esecuzione, l'allineamento, l'obbedienza, per l'altra l'arresto, la sospensione, la disseminazione anarchica. Uno scontro di forze. Alla fine uno contro tutti. Sarebbe riuscito a cavarne fuori le penne?
La sera portò il corpo stanco sui gradini della piazza antistanti il bar del teatro. Sempre più reduce si riposava un po' per l'indomani. Impossibilitato a comunicare ai suoi amici il peso della battaglia sostenuta, il livello dello scontro in atto invisibile ai più.


A ben vedere oltre qualsiasi logica della colpa e della pena, oltre qualsiasi responsabilità soggettiva in fondo a tutto si contrapponevano due visioni della vita antitetiche, forse le facce distinte di una medesima medaglia. Da un lato una volontà di adattamento infinita votata a una continua trasformazione a ben vedere radicalmente conservativa. Dall'altro invece l'attitudine di riuscire a dire “è abbastanza”, tutto è compiuto, finito, ogni secondo in più inutile, osceno, irrispettoso, ingeneroso. La vita ottusa incontenibile contro la battaglia per limitarla, de-finirla, de-terminarla al punto di desiderare di scomparire, restituire tutto per sfuggire da tale pulsione cieca e indifferente capace di dare alla testa se non abituati a riconoscerla, a prenderne le distanze. Una sorta di rinuncia come in un rito esorcistico.
Rinunci alla vita?
Si, rinuncio!
Per tornare a essere non posseduti, liberi e affrancati dai legami economici da essa imposti. Insomma superare l'atto creativo sospendendolo a partire da se stessi. Come esempio per tutti. Non lavorare più per la vita, scioperare, rifiutando di avere un ruolo attivo nella sua conservazione smisurata, eccessiva.

giovedì 28 luglio 2011

Biodiversità

Sarà per aumentare le varietà. Comunque da sempre vengo tenuto in vita da nemici prossimi, i genitori, la zia. Per anni ho combattuto il loro mondo, la loro visione della vita. Però, allo stesso tempo provvedo alla loro conservazione. Una sorta di paradossale parassitismo simbiotico. Fuori dalle solite regole dello scambio mutualistico. Tutto nei limiti della sopportazione reciproca. Mossi dall'odio più che dall'amore. In equilibrio precario. Come con un cancro. C'è, te lo tieni, ci convivi.
Però la troppa vicinanza fa male.
Dopo un breve contatto urge la distanza, la più profonda possibile. Senza allontanarsi troppo. Stando lì nei paraggi. Il tempo di perderli di vista, di non sentirli più.
Alla faccia del buon samaritano.
Mossi dallo stesso entusiasmo impiegabile per conservare un panda o uno squalo. La cura minima necessaria. Con una garza sulla sinistra e il coltello pronto a essere brandito sulla destra. E non si tratta di vincere l'uno sull'altro. Si sa già di aver tutti perduto a prescindere.

mercoledì 27 luglio 2011

Mago Zurli

Le previsioni di oggi indicano tempesta.
Barricati in casa ci si sente ostaggi della situazione.
Si vorrebbe uscire, fare sport su un prato, ma non è possibile. Si è sequestrati dagli eventi in attesa di una schiarita per partire con nuovi progetti.
La zia appena uscita dall'ospedale è andata in crisi di brutto. Senza più timoniere in mezzo ai flutti alti delira. Altro non può fare, ostaggio della propria emotività, di un pensiero distaccato da tutto capace solo di girare a vuoto inarrestabilmente.
La nave affonda e la zia si attacca a qualsiasi legno disponibile per non sprofondare del tutto. Questioni di tempo.
La nuova apocalisse avviata ha la sua storia. Un inizio, uno svolgimento, un'economia votata alla sopravvivenza assistita. In nome di una possibile qualità della vita.
Riuscirà il sistema zia a reggere l'urto e mettere insieme i pezzi residuali, il salvabile?
Finora ha dato prova di una resistenza inaspettata. Oltre il delirio, il vaneggiamento, il suo corpo non molla. Anzi resiste strenuamente, prova a riorganizzarsi per ripartire ancora. Come fosse un terminator inarrestabile in grado di trasformarsi irresistibilmente in qualcosa... a partire dai propri cocci smembrati.
Datemi tempo e vi stupirò.
Tutti siamo in attesa del nuovo miracolo. Titubanti e spaventati casomai dal dopo. L'ulteriore livello del gioco. Uno step in cui può accadere di tutto. Prima del fatidico game over.
In tanta trepidazione non resta di ridere a crepapelle senza motivo apparente. In macchina, sulla scrivania, mentre scrivo. Senza un perché. Un riso puro, viscerale. Una ginnastica mascellare per attivare un po' di positivo così da mettere in scacco abitudini implicite deleteree. Un modo come tanti per distogliere l'immaginazione barando.

lunedì 25 luglio 2011

In treno

Sono salite a Cesena.
Sono due giovani ragazze dall'età indecifrabile.
Avranno si e no quindici anni. No, forse venti. Ma potrebbero averne anche trenta, trentacinque senza difficoltà. Mature e giovani allo stesso tempo. L'una attaccata all'altra per sopportare meglio le insidie della vita, per non cadere all'improvviso. Insieme si sostengono complicemente. Forse sono più che amiche. La ragazza di fronte ha i capelli neri ricci, gli occhiali da intellettuale. Non sorridono. Sono troppo impegnate a scrutare il mondo circostante con attenzione. In modo sottile, discreto, non muovendo muscolo alcuno. Solo gli occhi sono vivi, vispi. In silenzio seguono i fatti, i gesti delle persone attorno, tutto con curiosità. I loro movimenti sono sincronizzati. Bevono, chiudono gli occhi per riposare insieme, bisbigliano pacatamente, si voltano da una parte all'unisono. Sempre per confondere le acque la stessa ragazza di prima ha una borsa in pelle nera abbastanza austera. Stride con la delicatezza del suo volto, con la gentilezza delle sue espressioni adolescenziali.
La giovane di fianco è la più fragile. Si vede dalla posizione del corpo proteso nella direzione dell'amica come per trovare accoglienza, protezione. I suoi lineamenti sono più definiti, quasi da ragazzo, come se i tratti fossero stati disegnati da un fumettista con la matita nera in bianco e nero. Il colore della sua pelle e dei vestiti in contrasto.
Mi piacerebbe parlare con loro, sono dell'umore giusto. Vorrei scherzare insieme, amoreggiare amichevolmente perché sento l'intesa.
Quanti anni avete?
Sedici, Diciassette...
E tu?
Sedici più diciassette più qualcos'altro.
Non va così.
Prima di scendere le saluto.
Mi rispondono in coro con un arrivederci sussurrato.
Quanto basta per scavare distanze.

domenica 17 luglio 2011

La zia mehaigné (magagnata)

Il serpente canceroso avanza verso l'alto come una kundalini. Non ha ancora compiuto tutto il suo cammino lasciando la zia sospesa. Già morta e non ancora. Lì sul punto di soglia. Viva e morta allo stesso tempo come il gatto di Schrödinger. Vestigia di qualcosa che fu eppure non del tutto scomparsa. Il sacrificio della zia non è ancora compiuto del tutto. Un resto minimo è rimasto inevaso. Lo sterminio non ha raggiunto la perfezione. Non gli è stata fatta ancora la festa.
Eppure questo resto è in grado di sopportare una memoria, di far emergere una memoria simbolica condivisa, di indurre azioni negli altri. A sua volta potrebbe essere la portavoce epigona di un antico messaggio di una catastrofe remota propagato grazie a una residuale radiazione di fondo capace di portare a rinnovare quell'evento in vista di una possibile risoluzione!
Quella catastrofe non si è ancora conclusa.
La conflagrazione non è terminata.
Se ne aspetta la morte da tempo immemore.
Forse la morte è proprio quel punto vuoto dove si decide della vita. Cioè si opera una frattura, un taglio irrimediabile, senza più possibilità di salvare qualcosa. Al di là di possibili residui periferici in grado di disseminarsi nomadicamente. Di inventarsi qualcosa pur di provare a essere.
No la morte non si è ancora compiuta. Almeno fin quando la vita conserverà il potere di amministrarsi risorgendo dalle proprie ceneri.

sabato 16 luglio 2011

Amministrazione quotidiana

Ci siamo!
I parenti, gli amici più stretti si preoccupano di attivarmi per gestire il dopo! Tanto lo sai come vanno queste cose. Non perdere tempo. Vatti a informare prima.
Secondo la zia Mariola la zia avrebbe già disposto ogni cosa. Tua zia ha già un forno! Quello di zia Armanda e del marito. Prima però bisogna rimpicciolirli, poi fatto spazio c'è posto pure per lei. Però d'estate non vengono aperte le bare, né ridotti i cadaveri. Fa troppo caldo! Perciò bisogna prima parcheggiarla fino a settembre da qualche parte. Potrei mettere a disposizione il mio fornetto. Perché spendere tre quattro mila euro quando lo spazio c'è già? Vuoi non ci abbia già pensato? Senti ne parlo con tua madre. Lei saprà certo cosa fare!
Insomma siamo all'ultimo atto, una sorta di couch surfing post mortem per poi rompere l'unione dei coniugi in vista di un menage a troi... Alleluja!... A proposito se vuoi la messa devi pagare pure quella!

venerdì 15 luglio 2011

Questioni di natura...

Tanto e non più!
Ripete la vicina della zia.
Sembra questa la quadratura del cerchio per il suo intestino! Se no son guai...
All'interno dell'amministrazione banale della vita ogni cellula è preordinata a compiere il proprio ruolo. Cambiare sodio con potassio, svolgere la reduplicazione dell'rna nei ribosomi e così via... Rispettando quel tanto e non più... Fermarsi non è concesso, ne andrebbe della loro stessa esistenza. Altro non possono fare. Anche quando non c'è più un sistema generale in grado di coordinare tanta febbrile microattività.
La zia si sta pian piano sfasciando.
Pezzo dopo pezzo. Come quelle vecchie carcasse arenate in qualche spiaggia.
Senza più comandante alla regia i muscoli del volto sono lenti, quasi inespressivi. Così la bocca sta naturalmente aperta. Sebbene non del tutto. Il cuore pompa ancora, i polmoni scambiano ossigeno con l'aria. Ma senza l'armonia di una volta.
Non posso far altro di documentare tale sfacelo.
Sto al suo fianco con la penna in mano distaccato.
La vita, in questo caso la morte, non riesce a emozionarmi. In barba a tutte quelle trasmissioni tipo la morte in diretta o i film strappalacrime sul capezzale. È un evento così normale da annoiare da morire.
Cellule del cazzo quando smetterete di produrre ATP... pompe dei sali quando bloccherete il flusso delle sostanze. Non mi va di stare con le mani in mano a aspettare come una di quelle pie donne accanto al “Cristo de scurto” del Mantegna. Fare il testimone è il personale modo di non partecipare passivo agli eventi, di non dare il mio fiat a tale sceneggiata.
Ho altro da fare!
Il mio anelito vitale, le mie cellule non sono organizzate per stare ferma davanti a della materia inerte. Sono una macchina predisposta a agire, a non girare a vuoto senza senso e meta. Assistere passivo all'esalazione dell'ultimo respiro non è un evento contemplato dai miei comportamenti standard.
Sono stato messo in questo mondo senza preavviso... va bene... mi hanno imposto un gioco spietato... e va bene pure questo... Ma almeno provo a cambiare le regole sospendendole per quanto mi è concesso dai miei sistemi di regolazione, dalle leggi cui sottosto.
Per un attimo la zia ha aperto gli occhi. Sembra volere comunicare qualcosa. Sollecitata prova a rispondere alle nostre domande con un si e no espresso dai movimenti del volto. Ma non c'è modo di dialogare.
Cellule industriose come tanti soldatini al fronte quando vi arrenderete? Firmate il vostro armistizio, accettate di deporre le armi diventando inoperose. Per voi è finita!

lunedì 11 luglio 2011

Povera sono nata, povera morirò...

Quale sensazione può suscitare l'aprire gli occhi e sapere di esserci ancora. Come svegliarsi la mattina presto dopo un sonno interminabile. Il tempo di ricucirsi i panni addosso, di rifocalizzare le coordinate spazio temporali. No l'incubo non è finito, cosa potrà riservare di positivo la giornata. Per un attimo si fa pure strada la sensazione di essere immortali, indistruttibili. In fondo si è vivi nonostante tutto. Non durerà a lungo. Basterà la sensazione di nausea poi un conato di vomito per capire come stanno le cose.

La luce è quella del crepuscolo.
Le serrande sono rade abbassate fino a terra.
Si vede poco ma non è buio.
Un chiarore diffuso avvolge i corpi, li staglia in chiaroscuro senza eccedere.
Ogni superficie viene avvolta calorosamente quasi si stesse davanti al focolare domestico.
La scena apparsa all'improvviso dopo aver varcato la soglia d'entrata della camera ricorda certe “sacre famiglie” immortalate da alcuni pittori lombardo veneti del cinque seicento. La stessa intima luce notturna di un Lotto o un Tintoretto. Però il luogo non è una stalla ma una semplice camera d'ospedale, anche se sarebbe potuto essere un bunker di Berlino in procinto di essere espugnato dall'armata rossa o una stanza addobbata del palazzo d'inverno circondato da rivoluzionari inferociti. Una tranquillità irreale prima del fatico crollo, sospesi nella terra di nessuno in attesa dell'apocalisse.
Attorno al letto della zia c'è uno stuolo di persone.
La zia distesa sul materasso dispensa battute ironiche come un papa.
Al suo fianco c'è la vicina.
Scesa dal letto, le è seduta accanto mano nella mano.
È una signora immensa come una montagna di panna sopra il profiterol.
Nonostante l'operazione subita risponde con una vocina angelica come quella di una bambina credulona sempre sorridente.
Altro non può fare.
Davanti le manca un dente.
Ciò la rende di un'umanità smisurata neanche fosse la superstite di un incidente aereo o di un naufragio nei mari tropicali.
Appoggiate l'una all'altra si fanno forza indolentemente.
A circondare la zia c'è poi uno stuolo di amici, chi seduti al letto, chi sulla sedia di fianco.
Come per un bebè appena nato sono venuti in adorazione.
Si respira un clima entusiastico, di eccitazione strana, eccessiva, solo per mascherare la tempesta in arrivo. Una sorta di quadretto del paese della cuccagna immortalato da un ispirato Bosch demoniaco.
La vita ha prevalso ancora. È riuscita a ritagliarsi un ulteriore scenario dove dare spettacolo, commemorarsi. Sebbene sappia di non poter resistere a lungo.
Con il piede fuori dalle lenzuola la zia cerca un contatto con i vicini come farebbe un gatto con le fusa.
Ei sono qui, accoglietemi, datemi il vostro affetto... Nonostante il fetore delle carni marcescenti a impregnare l'aria, il vomito continuo per il riflusso gastrico.
Siamo entrati in un nuovo girone de sadiano: quello del vomito, dopo quelli della mania, della merda, del sangue. Girone preannunciato poche settimane prima dalla gastroenterite virale di una amica a Bologna, attestante il rituale della restituzione di tutto, a partire dalla vita esalata a fiotti.
Vengo invitato a prendere parte al quadretto.
Rifiuto...
Preferisco rimanere alla giusta distanza per scattare un'istantanea con il cellulare della zia. Prima di rendere anche quell'immagine inconsistente come tutto.

sabato 9 luglio 2011

To be or not to be... this is the question...

Voglio morire!
Anzi no... non voglio morire!
Fosse disponibile un sicario sarebbe tutto più semplice per la zia. Ma se deve scegliere prevale la tentazione di provarle tutte, anche le soluzioni più atroci, compiendo un destino apparentemente irrevocabile quanto il dover bere il calice amaro della vita fino all'ultima goccia.
Il problema l'intestino divorato dal basso dal cancro.
La scommessa spostare sempre più in alto l'ano artificiale.
Al limite bocca e ano potrebbero coincidere. Mangiare digerendo tutto subito in un sol boccone. Come trasformare acqua in aceto.
Si potrebbe pensare di passare, di dire basta e non scommettere più. Fine, end, compimento, sospensione.
Ma le cose non stanno così.
Il dispositivo biologico dell'autoconservazione ti porta a elevare sul piedistallo più alto il valore della vita in sé. Sebbene privata oramai di qualsiasi qualifica positiva. Anche al costo di diventare ano e basta. Un ano parlante, un toro circolare sempre più sottile. L'estrema scommessa della natura: lavorare a togliere, per sottrazione. Cosa rimane alla fine? Michelangelo vi aveva intravisto degli schiavi stritolati dalla materia avvolgente. Eppure senza quella materia quegli stessi schiavi non sarebbero potuti essere. Liberarli significava renderli solo dei fantasmi eterei, pura apparenza magari gloriosa.
La zia non parla più.
Seduta sulla sedia con gli occhi persi vorrebbe un amore infinito capace di sospendere il suo dilemma abissale quanto un buco nero tutto divorante.
Chi possiede questo amore disumano?
Troppo grosso il carico da sopportare, troppo pesante la croce da sostenere fino al calvario, meglio affogare i pensieri, dimenticare tutto, annullarsi a puro corpo, vita nuda in sé per sé. Per questo perfetta, compiuta nel suo nichilismo antropologico.
Cosa ne rimarrà della zia?
L'intervento come funtore biologico capace di sospendere e di aprire verso un nuovo stadio esistenziale, sebbene a perdere. Quale altra forma residuale di vita oscena si genererà? Quale mostro verrà partorito non senza dolore... Probabilmente un altro freak dalle belle speranze. Potrà essere ancora felice, appagato della nuova esistenza? Sarà ancora umano?
Ai presenti rimane la contemplazione sublime del nuovo miracolo della vita. A fronte di tanto spettacolo ci sarà ancora qualcuno a applaudire l'ennesimo tentativo di creazione demiurgica?
Ei aspettate ancora un poco... non lasciate la sala...
Non è finita...
C'è pronto un altro mirabolante spettacolo.
Che non c'è limite alla fantasia!