lunedì 26 marzo 2012

In attesa.

Stava sull'orlo del baratro.
Ciondolando in avanti.
Senza troppa convinzione.
Un salto carpiato ancora.
Nel vuoto
L'ennesimo.
Alla ricerca dello forma migliore.
Per fendere la superficie e penetrarla dolcemente.
Senza schizzi o tonfi mortali.
Una volta risalito sarebbe stato diverso.
O forse no.
In tal caso tutto daccapo.
Risalire la china fino al punto più alto.
E giù di nuovo.
Nella speranza del miracolo.
Rompere l'accerchiamento del vuoto.
L'isolamento atavico.
Come farsi catturare nella rete virtuosa delle relazioni affettive?
Era appena passata la luna nuova.
La primavera aveva cominciato a farsi sentire.
Il momento giusto per la semina.
Almeno secondo la sapienza antica.
Davanti un anno intero da inventare.
Forse solo il tempo necessario per un aborto ancora.
Ma non si dava per vinto.
Tanto non aveva nulla da perdere.
Meglio giocarsela.
Anche per riempire le giornate.
Così cercava eventi proficui.
Sebbene con più confusione del solito.
Quasi si fosse abbandonato inesorabilmente alla corrente.
Sbattuto qua e là tra un seminario di vetero marxisti, una cena creativa. Tra un mercatino del libro indipendente, negli orti urbani dell'Xm.
Un morire quotidiano.
Senza resti significativi da cui ripartire.
Difficile spiccare il salto solo da lì.
Più naturale la raccolta del nulla.
Forse si sbagliava.
Avrebbe voluto con tutto se stesso essere contraddetto dai fatti.
In attesa di quell'evento nuovo in grado di rimetterlo in carreggiata riattivando energie nascoste per il momento latitanti.
Da solo non sarebbe arrivato da nessuna parte.
Il mantra ripetuto in silenzio.
Non c'era altro da fare.
Se non armarsi di pazienza.
Uno stillicidio lento.
Anche questa volta qualcosa sarebbe successo.
Questa la speranza, la fede riposta in quel muro di silenzio di voci rumorose.

Dura da digerire

Si era offerta di portarlo a casa in macchina.
Da Ancona alla sua città lì nei dintorni.
Di notte, allungando di non poco il tragitto abituale.
In auto avevano conversato amabilmente.
Di antropologia.
Una passione comune.
Alimentata dalla discussione attorno al tavolo con i ragazzi della ciclofficina sempre pronti a nutrirsi fino all'anima.
Il tema quello ancestrale della sacra famiglia.
Dei dispositivi impliciti del potere nel promuoverla come naturale. Della possibilità di nuove forme di vita relazionali una volta riusciti a liberarsi da tali lacci. L'unico modo per resistere al dominio del sistema biopolitico della produzione di individualità assoggettate.
Avevano molte cose in comune.
E gli piaceva nonostante la differenza di età.
Alla fine arrivarono a destinazione.
Fine della piacevole serata.
Scesero entrambi.
Prese le valigie dal cofano, se le strinse addosso come se stesse per partire al fronte.
Si salutarono.
Un bacio alla guancia austero.
Avrebbe voluto un po' più di calore.
Anche perché quelli erano i momenti in cui ricaricava le bombole per scendere di nuovo negli abissi. Come resistere altrimenti?
Senza pensarci le disse:
Un abbraccio.
Avvolgendola leggermente a sé.
Un atto performativo...
Non una semplice comunicazione verbale.
Saltando fossi, ostacoli, resistenze per assecondare una insanabile carenza d'affetto.
Il contatto fu per un istante brevissimo.
Sufficiente per sentire lo stridore del gesto, la violenza celata.
Senza voltarsi si diresse a casa.
Dopo pochi secondi senti il rumore del motore accendersi, lo sfregolamento delle ruote sull'asfalto.
Poi più nulla.
Solo il gelo dentro.
Per giorni portò con sé l'immagine di quel saluto con estrema sofferenza.
Non era andata come avrebbe voluto.
E il rimedio era stato peggiore del male.
Rimase sospeso per più giorni prima di riuscire a elaborare l'accaduto facendosene una ragione.
Indietro non si tornava.
Parlarne non so quanto sarebbe servito.
Preferì la strada del silenzio.
A cocci oramai fatti.

lunedì 5 marzo 2012

No... è

Si trovava ancora all'ennesimo bivio.
Quello di sempre.
La tentazione della vita.
Avrebbe resistito questa volta?
Si sarebbe lasciato sedurre?
Forse il trucco stava tutto lì.
Nel sospendersi.
Nel sospenderla.
In eterno.
Smettendo di giocare.
Per non lasciarsi abbindolare dalle sue trame.
Sottili come fili arrugginiti di marionette.
Bastava rompere tale intreccio.
Per sciogliere legami atavici.
Sarebbe riuscito a resistere questa volta?
Quale prova lo attendeva?
Perché la vita rilancia sempre.
Per mettere tutto in discussione.
Al fine di trasformare i valori in azioni proficue.
Come ammaliarlo ancora?
Con quali voci arcane persuaderlo?
Quale nuova luce riflessa negli occhi lucidi di una giovane per riportarlo ai suoi doveri non scritti da sempre.
L'ennesima tentazione per arrestare un istante ancora l'apocalisse. Cioé la conclusione eterna della vita così com'è.
Bastava resistere solo un po' di più dell'ultima volta per arrivare a consumarla del tutto senza resti.
Insomma finirla per sempre.
E amen.
Oltre ogni ulteriore desiderio.
Al di là del volere illusorio di una cieca volontà di potenza.
Per arrivare all'estinzione radicale.
L'ultimo atto per annullare l'abbaglio luciferino iniziale.
Così da compensare la dismisura di tale infausta pretesa originaria.
Una promessa senza fondamento. Contro ogni evidenza. In nome di una fede folle.
Fine di ogni senso.
In assenza di tutto.
Inutile attendere una cometa impazzita, una improbabile tempesta magnetica, una glaciazione paralizzante o un'innalzamento continuo delle acque.
Sarebbe stato sufficiente smettere di costruire arche o navicelle spaziali lanciate nell'ignoto come metastasi impazzite.
Aspettare la fine.
Senza più fuggire.
Consegnandosi consapevolmente al proprio destino.
Chissa se allora...