domenica 29 aprile 2012

The Dad Horse Experience


Il giorno prima, il 24 aprile si era trovato con i suoi amici.
Loro venivano da fuori.
Chi dalla Francia, chi dal sud...
Non avevano meta.
L'unico modo per lasciarsi andare nella città di notte.
Per essere assorbiti dal suo ritmo.
Curiosi come bambini.
Senza aspettarsi nulla.
Intanto giusto per cominciare la serata un salto fugace dal pachi.
Birre weisse per tutti.
Da bere sotto i portici.
Camminando in gruppo.
Tra una battuta e l'altra.
D'un tratto un richiamo dalla strada.
Qualcosa di indecifrabile.
Ancora pochi passi...
Ecco materializzarsi il tre ruote. Un carretto variopinto per il dj di strada postmoderno, post-postmoderno, post precariato.
A dirigere il trabicollo recuperato dal rusco un ragazzo altissimo conosciuto pochi giorni prima alla festa della zuppa. Tra una pedalata e l'altra il suo corpo ondeggia pesantemente sul triciclo. Subito dietro, sistemati di traverso sopra una tavola, i piatti technics. A seguire il dj camminatore. Mixa e si muove all'unisono con il carretto trovando pure il tempo di equalizzare ogni singola traccia, di tarare i volumi per bene.
Non sono soli.
Catturati da quella miscela irresistibile tanti giovani fancazzisti della sera si sono lasciati prendere da quelle note raminghe. Musica popolare assemblata con arte dai nostri dj virtuosisti dello scrath, del campionamento.
Già dopo pochi passi il gruppo si infittisce.
I conquistati si impegnano a loro volta a richiamare altri passanti.
Impossibile resistere alla musica, stare fermi.
Infatuati come topi non si riesce a opporsi a quel richiamo.
Anche questa volta l'incantesimo ha sortito il suo effetto.
Per i presenti non resta se non seguire il suonatore di turno, muovere le braccia, le gambe a ritmo.
Pian piano si crea una vera e propria carovana ambulante.
L'obiettivo il parco della montagnola.
È là la festa.
Sono in corso d'opera le prove per l'indomani.
Il 25 aprile.
Il giorno della liberazione.
Una via intera si è mobilitata per rinsaldare ancora una volta il legame con un passato glorioso, eroico. Lontano specchio della miseria presente.
La speranza provare a esserne degni eredi.
Ma non è facile.
Il nemico si sottratto. Non è più un'entità riconoscibile.
Si insidia silenzioso dentro ognuno.
Così non si sa bene più cosa combattere.
La pigrizia, la mancanza di volontà, il non saper dire no a questa apatia diffusa, al servilismo strisciante.
Basta continuare a essere uno dei tanti piccoli ingranaggi necessari per far girare a regime quel meccanismo onnipervasivo perverso.
Impresa disperata.
Già i Voodoo Sound, il mitico gruppo afrobit orchestratore di tante belle serate roots, si è dovuto piegare al volere del comitato di quartiere.
Niente più musica a partire dalle dieci e trenta.
Dopo soli quattro pezzi, nemmeno il tempo di accendere i motori, tutti a nanna.
Un altro giorno di lavoro è lì alle porte per divorarti l'anima.
Anche i pensionati nullafacenti reclamano il silenzio.
Il meritato premio per una vita di sacrifici.
Che cribbio!
Basta schiamazzi!
Con l'adrenalina appena entrata in circolo, il pubblico accalcato attorno al gruppo fino a confondersi con i musicisti deve fermarsi di botto.
Niente più ondeggiare i corpi, saltare, urlare a suon di beat.
Un coitus interruptus della peggiore specie.
L'adrenalina da porta per l'euforia si trasforma in rabbia.
Già c'è qualcuno a invocare occupy.
Ma il comitato è irraggiungibile.
È lui a avere sempre l'ultima parola.
Kafka non avrebbe saputo fare meglio.
Ma chi cazzo è sto comitato?
Queste voci anonime pronte a incarnarsi in oscuri funzionari balbettanti, a inondare di inchiostro melenso i giornali locali di qualunque colore politico.
Via prima di assiste a qualcosa di spiacevole.
Meglio spegnere l'adrenalina con un boccale di birra fresca.
Oggi non è giornata.
Alla faccia della liberazione.
Sconsolati si va al Macondo, un circolo arci poco più avanti. Driblando di petto una marea di gente storta dalle traiettorie imprevedibili.
Dal locale non filtra nulla di buono.
Il messaggio di Martina preannunciava un concerto memorabile.
Non sembra così.
Meglio addentare una piada prima di aggredire qualcuno. Così... per terminare la serata con un sacrificio umano come rito liberatorio.
Alla fine si decide di entrare lo stesso.
Una chance la si dà a chiunque.
Come varcata la soglia del teatrino ambulante di Parnasus, di colpo si viene risucchiati in un'altra diensione sorprendente.
I suoni confusi di fuori si dissolvono clamorosmente.
Lì dentro si trasformano in note celestiali.
Merito del banjo filtrato con un effetto flanger.
A animarlo un tipo alto alto tutto d'un pezzo vestito di nero. In stile anni trenta, biondo, con le orecchie a sventola così grandi da sembrare fatte a posta. Quasi se le fosse tirate con le mani dopo averle inamidate.
Si muove a scatti, assecondando il ritmo stando seduto.
Canta melodie soul blues.
Non sembra umano ma un automa felliniano o la marionetta di un Toto in stato di grazia con la mascella serrata con delle viti.
L'aspetto teatrale è amplificato dai tendaggi rossi a scendere tutt'attorno fino quasi a avvolgerlo.
Sembra piazzato in quella nicchia da secoli.
Pronto a muoversi a comando.
Cosa lo muove?
Quali fili invisibili lo tirano?
Nonostante la superficie blues, l''attitudine è punk.
Musica sincopata emessa a denti stretti sporcata da effetti low-fi comandati da una pedaliera d'organo.
Con il piede destro batte il ritmo.
A ogni accento attiva un nuovo effetto con un colpo secco sui tasti lunghi di legno.
Impressionante.
A bocca aperta i presenti.
La sensazione quella di essere gli involontari spettatori di qualcosa di unico, magico.
Ecco saltato fuori il coniglio dal cilindro.
Quando meno te lo aspetti.
Già lì in procinto di rimboccarsi le coperte.
Voilà le notti bolognesi.
Capaci di lasciarti di stucco.
Di spiazzarti ancora una volta.
Senza pretenderlo però.
Quando capita capita.

martedì 24 aprile 2012

[...]


Mmmmhhh!
Uffaaa!
Ooh!
Eh?
Ah sì.
Lunedì mattina non troppo presto.
La tuta blu alle gambe.
Una maglia grigio scolorata con sopra impressi due cuori rossi preceduti da una W. Sotto ciascuno c'è scritto moi e toi. Una segnatura improponibile di un passato lontano non del tutto dimenticato. Segni oramai liberi di rimandare a qualsiasi cosa.
Ai piedi le ciabatte di plastica.
Quelle da piscina.
La bocca amarognola cementata dal tannino.
Il corpo pigro piantato sulla sedia.
Il cervello imballato davanti i libri sospeso chissà dove in attesa di digerire quanto vissuto il giorno prima.
Il tempo di togliere le ultime croste.
Quasi pronto.
Via con un nuovo mascheramento.
La camera come camerino.
Per affibbiarsi addosso chissà quale parte.
Davanti lo specchio, il trucco in mano, gli oggetti necessari per la trasformazione secondo le esigenze, il luogo.
Ogni giorno la stessa musica.
Basta.
Oggi me ne vo così.
Mascherato da notte.
Con le ciabatte ai piedi.

Festa della zuppa


In cinque su un risciò.
Quattro vogatori più il dj attento a cliccare il brano giusto sul lettore mp3. Tra i due guidatori una sfera di vetro a mosaico luccicante stile studio 54. Sul tetto una filotto di lucine colorate lampeggianti come un albero di natale.
Per sottolineare ancor più la vocazione hippie psichedelica, un grosso fiore dai petali colorati di plastica trasparente.
Ne sono rimasti poco più della metà.
Il resto è andato perso in chissà quale altra avventura.
Non serve altro.
Via.
Pronti a immergersi tra la folla.
La partenza... un varo.
Non prima di aver stappato la bottiglia di birra.
Tolti i cunei si comincia a scendere lenti.
Pian piano si prende velocità.
Un tonfo lungo...
E si sprofonda nelle acque fino a sparire per buona parte.
Allora la corsa si arresta.
Rimane solo un movimento inerziale.
Il varo è andato.
Indietro non si torna.
Meglio buttarsi decisi nella baraonda.
La musica a palla vomitata dalle due grosse casse sotto il carro una davanti, una dietro.
Brani leggeri, easy, adatti alla situazione.
Da un classico pop a un canto popolare.
Il risciò nelle mani di abili navigatori solca la folla come un rompighiaccio.
La musica lo strumento per sciogliere i blocchi davanti.
Sfiorati i bottoni giusti le persone intorno si lasciano andare. Danzando si spostano leggiadre. Neanche si fosse al carnevale di Rio.
Sono tutti sorridenti, aperti, ben disposti.
I più sorpresi i bambini.
Spiazzati da tale marchingegno a quattro ruote lo guardano quasi avessero visto un'astronave.
La bocca aperta.
Gli occhi sgranati.
Paralizzati lo seguono lentamente con lo sguardo mentre tutto intorno ribolle, si contorce.
C'è chi allunga un cinque, chi vuole salire a bordo per qualche metro.
Da sopra il carro si risponde a tutti con un sorriso, facendo schioccare forte i palmi delle mani l'uno contro l'altro. Un modo come un altro per contagiarsi con la gente. Quasi si fosse portati a braccio sospesi da terra per volare chissà dove. Un pò come nelle processioni rituali dell'america latina o del sud. Però qua è tutto pacificato. Lontano ricordo i segni della morte. C'è spazio solo per il divertimento, la voglia di stare bene. Dimentichi di tutto il resto. Storditi dalla folla, dalla musica, dal vino contadino profuso a mo' di acqua santa.
Voilà la nuova ritualità dionisiaca depurata di ogni simbologia sacra. Superficialità pura da consumare subito. Il paradiso per un giorno. Anche per trovare le forze di affrontare docilmente il calvario quotidiano incagliati sopra montagne di libri o persi nelle fauci di qualche lavoro precario. Uno, due secondo necessità. Pur di fare quadrare i conti di una fragile economia domestica. Affidati spesso a una cieca provvidenza a termine.
Ma che ce frega.
Oggi via tutti i problemi.
Spazio solo al sorriso, all'entusiasmo.
All'improvviso una sirena.
Non una di quelle seducenti in mare.
Solo l'urlo penetrante di un'ambulanza con i fari accesi a tutta birra.
Come il mar Rosso di fronte a Mosé le acque si ritraggono.
Ecco aprirsi la via per una possibile salvezza.
Giusto il tempo del transito.
Poi il varco si richiude.
Ogni cosa viene sommersa dalla fiumana colorata.
L'onda in movimento solo per un istante trattenuta riprende il suo cammino con lo stesso tran tran di prima.
Di nuovo scende la notte.
Dopo un incedere nomade inarrestabile la carovana festaiola si dirige verso il parco.
Spiaggiati lì nel prato verde la luce si fa sempre più fioca.
Chi può si avvinghia calorosamente con qualcuno per alleviare la temperatura scesa repentinamente.
È arrivato il momento di volgere lo sguardo in alto verso il cielo stellato.
Davanti una notte lunga tutta da inventare.
Che domani è un'altro giorno.