mercoledì 29 agosto 2012

La gola della rossa

















Non è il titolo di un film porno.
Ma una gola scavata da un fiume.
E anche un parco naturale.
Di tutti sicuramente quello meno valorizzato.
A dimostrarlo la cava di marmo alle sue porte.
Per chi arriva dal mare lo squarcio sula roccia è come un pugno allo stomaco.
In mezzo a tanta vegetazione spontanea una parete bianca bianca segnata profondamente dai livelli di perforamento.
In quel punto alle porte della gola si materializza duro lo scontro tra la natura e la cultura così detta moderna, del tutto indifferente a tale spettacolo.
Come niente fosse prova a fottere ripetutamente la montagna sdraiata a gambe all'aria.
Con violenza.
Senza rispetto.
Colpo su colpo.
Basta poco per non vedere quello scempio.
Entrare dentro dalla porta principale.
Senza scavare gallerie per l'alta velocità o tunnel per la superstrada.
Secoli e secoli di erosione pacifica per generare quello spettacolo incontaminato.
Un niente per annullarlo.
Ma che importa.
La cultura della trasformazione violenta fa il suo giro.
A testimoniarlo i rumori metallici dei camion pieni di ghiaia, dei veicoli sfreccianti a tutta birra sopra la testa, delle idrofore assetate dell'acqua pulita del fiume per facilitare gli scavi.
Nessuno a protestare.
Come fosse una cosa normale.
Nessun indigeno della foresta a colpire con le cerbottane i bianchi spietati. Nessun movimento no tav all'orizzonte.
Abituati da sempre a essere schiavi nessuno dice nulla o fa qualcosa per opporsi.
Una volta si poteva scendere comodamente al fiume, tuffarsi nelle piscine scavate nella roccia.
Ora non più.
La strada è stata sbarrata, deviata, sommersa da montagne di polvere mortifera.
Una nebbia tutto avvolgente di bianco al passaggio dei camion o col vento alto.
Per arrivare a bagnarsi in quelle acque un unico sentiero irto.
La difficile strada dei tubi delle idrovore con un cartello premonitore. 
Attenzione pericolo! 
Poi un salto verticale di vari metri.
Alleluja.
E che apocalisse sia!

domenica 26 agosto 2012

Nottenera

Non so cosa la muove.
Ma una forza inesauribile la possiede.
Un crescendo annuale tocca il suo culmine l'ultimo sabato di agosto.
Le sottili trame tessute sotterraneamente per un anno intero trovano il senso, il compimento.
Il seme gettato ha dato ancora i frutti.
Maturi sono pronti per la raccolta.
Di notte.
Senza luce.
Al massimo qualche lead per segnalare le strade di pietra.
Si potrebbe stare con il naso all'insù per mirare le stelle fisse.
Ma non c'è tempo.
A risplendere di più in tanto buio è la luce di una miriade di eventi.
Sono loro a catturare gli sguardi.
Chi in piazza accomodati nel salotto per sostenere idee, chi in strada per inventare nuovi comportamenti, abilità psico-fisiche, chi in spazi chiusi a mostrare i propri oggetti, foto, musiche.
Tutto nell'arco di una notte baciata da una luna a metà.
Non c'è tempo per la pioggia preannunciata.
Aspetterà l'indomani.
Quando ogni cosa sarà finita.
Allora il grande sacrificio sarà compiuto.
E sarà il momento di purificare le vie dal sangue sparso, dai resti lasciati dappertutto.
Prima però c'è da salvare il salvabile.
Tavoli, sedie, faretti, pennarelli.
Il sostrato da cui ripartire l'indomani.
Materia libera di trasformarsi docilmente secondo necessità.
Lei è ancora lì in prima linea.
Dopo aver tenuto a bada miriadi di voci anarchiche con il cellulare, trovato la misura giusta tra spinte divergenti, umori inquieti, esigenze inderogabili, narcisismi irriducibili.
Insieme a un manipolo di volontari, al sindaco, allo staff fa il lavoro sporco.
Quello snobbato da tanti artisti fugaci quanto le loro esibizioni.
Con una lucidità da paura trova ancora le soluzioni opportune.
Un cavatappi con coltellino per tagliare fascette di plastica. Il tutto tenendo a bada una panca di legno sottobraccio.
A seguirla sono soprattutto i giovani del paese pronti a dare fondo alle ultime energie prima di morire in branda. Non senza l'immancabile ultimo brindisi propiziatorio stremati sui gradini del comune.
Poche le parole affogate nell'ottimo vino.
Troppo presto per tessere bilanci.
Davanti solo un vuoto abissale.
Lì a una spanna.
Pronto a risucchiarti inesorabilmente.
Prima di essere colmato di nuovo.
Duro il giorno dopo.
Quando a pezzi sarà il momento di fare i conti con sé stessi, con gli altri.
Solo dopo si potrà cominciare a mettere insieme i cocci sparpagliati.
Non senza aver toccato il fondo.
Il momento più difficile.
Fragili come cristalli.
Un niente per essere spazzati via.
Ma non sarà così.
Sopravvissuti ancora.
A sé stessi, alle faide interne, alla noncuranza di tanti.
Dalle ceneri una nuova energia si sprigionerà contagiando tutti.
Allora si sarà di nuovo un sol corpo pronto a agire all'unisono. Verso un'altra meta.
Per tutti quelli barricati in casa, con le finestre chiuse, la luce accesa, il televisore come unica finestra sul mondo è il momento di sollievo.
In attesa della prossima apocalisse possono tornare alle loro tranquille esistenze di paesani non troppo flashati dal buio delle stelle. Abituati a ritualità meno appariscenti, a dèi più silenziosi.

giovedì 23 agosto 2012

In coop

Stazionavano davanti la coop da un po'.
Erano conosciuti da tutti.
A pranzo qualche vecchietta si presentava con la pizza calda.
Chi aveva gli spicci li lasciava volentieri.
Certo tutto questo non bastava a risolvere la loro situazione di emarginati migranti.
Parlavano inglese.
Quasi di sicuro venivano dall'africa.
Alla domanda where are you from rispondevano ironicamente united state of...
Stavano male ma poteva essere molto peggio.
In quella cittadina dell'italia centrale il conflitto con lo straniero non era di casa. Tutti venivano accolti. Certo questo non voleva dire essere aperti e comprensivi delle loro particolari condizioni. Ma secoli di tradizione contadina li aveva abituati a non negare un pasto a nessuno, anche a costo di dividere le briciole. Come in tempo di guerra.
In fondo erano gente semplice.
Molti di loro da giovani erano migrati in svizzera o in germania. Sapevano bene come ci sente in quei frangenti lontani da casa, senza lavoro.
Nella valle l'evento di quei giorni era sicuramente la nottenera.
Un piccolo paesino in bilico tra le due valli contigue apriva le porte alla creatività, all'innovazione. Innanzitutto sociale e relazionale. Per immaginare un futuro migliore a partire dalle pratiche quotidiane, dal fare di tutti i giorni. Non a caso il tema di quell'anno era la trasformazione. Il motore per convertire la crisi profonda in opportunità. Il momento era propizio anche per il particolare indebolimento dei poteri forti, di coloro abituati a dettare regole. L'imperativo approfittarne prima possibile per non dare l'opportunità al sistema di riorganizzarsi in un nuovo ordine mondiale ancora più oppressivo.
Tra tanti artisti, giocolieri, funamboli della scrittura erano stati chiamati pure loro. I ragazzi della ciclofficina popolare.
Avevano a disposizione una piccola piazzetta da condividere con i ragazzi di ancona in transition. Uno sparuto gruppo di giovani inesperti eppure incredibilmente motivare a cambiare le cose. Rigorosamente dal basso, in nome del bene comune. Armati solo di tanta buona volontà.
Mark, il ragazzo migrante seduto su un fittone della coop quel giorno era preoccupato. La sua bici nera da 24 pollici era bucata. Una puntina inopportuna si era conficcata nella ruota.
Con i suoi amici pernottava a una spanna dalla città, lungo il vallato. Un posto naturalistico da sogno.
Erano tutti appassionati di bici bianchi.
Nei pressi delle loro abitazioni avevano allestito una ciclofficina improvvisata. Per strada. Per i passanti non era infrequente vedere appoggiate bici da corsa vecchio stile ai muretti pronte per essere rimesse a nuovo non senza inedite soluzioni estetiche.
A meno di novità eclatanti, quel giorno sarebbe tornato a casa a piedi sotto un sole rovente.
Uno dei ragazzi della ciclofficina passò di lì per caso. Con la bici da corsa sempre attrezzata a puntino per il viaggio. Con le borse laterali ortileb impermeabili alla pioggia più una sacca laterale old style poggiata sul manubrio. Quasi si fosse attrezzato per l'apocalisse. Due secondi ed era pronto per partire chissà dove senza meta. Con il sacco a pelo, gli attrezzi minimi per aggiustare una camera d'aria buca o poco più. Appena lo videro i ragazzi di colore alzarono le braccia per indicare il mezzo ferito.
Capì subito il problema.
Tirò fuori il necessario.
Colla, toppe, carta vetrata, le leve per togliere il copertone.
In un baleno lo spazio antistante l'entrata della coop si fece ciclofficina ambulante.
Sotto un sole inclemente risolsero il problema.
Rimessa la camera d'aria dentro il copertone, girarono la bici poggiata a terra a testa in giù. Un ultimo chek-up e via pronta per mordere ancora la strada. Qualcuno portò pure una bottiglia d'acqua per pulire le mani sporche di grasso e di polvere.
Subito dopo il ragazzo venuto da chissà dove salì sulla bici di corsa e si allontanò in silenzio.
Incerta la meta.
I ragazzi di colore invece ripresero le loro attività davanti lo spiazzale del supermercato.
Per tutti quella giornata sembrò migliore.
L'ennesimo miracolo della ciclofficina.
A fronte della vita nuda, all'emergenza di tutti i giorni.
Oltre l'immaginazione, le regole prefisse.
Senza orari o luoghi prestabiliti.
Dove capita capita.
Uniti per risolvere insieme i problemi del momento, per creare nuove improbabili relazioni.
Con quanto disponibile.
Avendo come sfondo comune la bici, il fare insieme.
L'ennesima lezione dalla strada.
Molto più efficace di mille manuali.
Di tante chiacchiere a vuoto.

venerdì 17 agosto 2012

Fiore del deserto

Pochi giorni a ferragosto.
Bologna è deserta.
Non si sta male.
Il caldo torrido dei giorni passati se n'è andato.
In giro poca gente.
Manca la frenesia di sempre.
Il ritmo è polleggiato.
Il passo lento.
Gli sguardi si incrociano benevolmente.
In tanto vuoto si cerca un porto gentile dove attraccare, un sostegno necessario.
Come d'abitudine si va in giro a zonzo, senza meta.
Sarà dura fare serata.
Nei soliti posti nessuno conosciuto.
Meglio telare che non è giornata.
Dopo un venerdì di destrutturazione non è il caso di andarsela a cercare.
Ultima spiaggia stefino veg rimasto nonostante tutto a dispensare granite bio sotto i portici di via petroni mai così silenziosi.
Anche i tossici si sono sciolti al sole rovente dei giorni passati.
O forse sono emigrati in riviera.
Il clima è surreale.
La sospensione totale.
La sensazione di galleggiare leggiadri in mezzo a tanto vuoto. Senza più i piedi per terra. O meglio le ruote. Impegnate a disegnare insolite traiettorie lineari sotto i portici. Non ci sono nemmeno le ronde armate di poliziotti. Gli addetti alla sicurezza di chi va a letto al tramonto. Nessuno a porsi come ostacolo da aggirare, a farti scendere con le buone o le cattive.
Pure la strada sembra più pulita.
Niente cartacce o macchie di liquidi maleodoranti sparsi in giro.
Insomma una città quasi a misura d'uomo.
Il clima insolito è predisponente.
Così l'umore è buono.
A attestarlo il sorriso beota tra una pedalata e l'altra.
Un altro piccolo sforzo e ci siamo.
Ecco la vetrata di stefino con la panchina old style posta di fronte.
Manca la fila.
I vantaggi dell'estate.
Mandorle e caffè.
Come di solito.
Prendo il bicchiere colmo e mi siedo fuori.
Ieri vi avevo trovata simona accompagnata da una giovane amica con la madre al seguito. Tutte con il gelato in mano. Con loro si era fatta serata fino a notte fonda. Aspettando pazientemente di essere gli ultimi a sgomberare la piazza. Dopo un po' di smancerie la coppia seduta dall'altra parte alla fine si era decisa. Svogliatamente si era alzata e a aveva preso la strada di casa. Ora era il nostro turno.
Oggi però il miracolo non sembra ripetersi.
La panchina è vuota.
Vabbè.
Vai con il cucchiaino di plastica a scavare gallerie nella granita gelida.
Gli ultimi affondi e via verso casa.
Con ancora in mente gli strascichi della serata passata.
In fondo, la speranza recondita è di imbattermi per caso nella giovane amica damsiana di simona incontrata qualche anno fa, quando aveva appena diciotto anni. Il pretesto una festa arikrisna organizzata dalla madre.
Beh non sembra proprio giornata.
Pochi secondi ancora e a casa di corsa. Provando a dribblare il niente assoluto o al massimo qualche zanzara recidiva rimasta nonostante tutto.
Dallo sfondo si delineano due ragazze giovanissime.
Non vanno dritte ma ondivaghe, appoggiate precariamente l'una sull'altra.
Mi colpisce subito quella con le fred perry ai piedi e un vestitino colorato a fiori tanto riot girl sofisticata. Con i capelli neri tesi in balia al vento. Avvolta dalle spire della penombra si arresta per un attimo, coinvolgendo inerzialmente l'amica a lei appiccicata.
Da quella sagoma nera parte un suono sibilato.
Non è possibile...
Illuminato per un attimo dalla luce intravedo uno sguardo stupito.
Metto insieme quelle sillabe in libertà e provo a darle un senso. Nonostante il rincoglionimento della giornata appena passata ancora lì a annebbiare la mente, a bloccare i normali flussi di pensiero.
Alla fine un bagliore improvviso.
Ma è lei!
Un tonfo di gioia mi assale.
Il cervello torna a girare a mille.
Le poche energie residuali vengono bruciate in pochi secondi.
La macchina finora assopita si attiva di botto.
Sarà per il look in tiro, i capelli ribelli sensuali.
Ben altra musica rispetto a ieri.
Voilà emerso un tutto sommato prevedibile lato dark.
Ogni poro, lo sguardo vivo esprimono una bramosia impaziente tenuta a bada con difficoltà.
Nemmeno il tempo di fare due chiacchiere, squilla il telefono.
Si allontana un po'.
Piazza aldrovandi?
Arriviamo subito.
Noi siamo...
Le suggerisco al volo via petroni.
Si, in via petronio.
Il tempo di mangiare il gelato e siamo lì.
La voce al telefono l'ha attivata ulteriormente.
Ogni cellula è ancor più protesa verso la meta.
Il cuore ha cominciato a battere forte.
Il flusso sanguigno è pronto a irrorare di energia i muscoli contratti sotto la superficie liscissima come può esserlo la pelle profumata di una ventenne.
Beh noi si va!
Alla prossima.
Quando torni voglio assaggiare il tuo pane.
Sicuro.
Come fosse passata una cometa rimane solo la scia di profumo, di pulito.
Per un istante.
Poi torna il solito buio fondo dei portici.
Nemmeno il tempo di finire di assaporare il piacevole retrogusto, si siede un giovane con le braccia tatuate con in mano due kebab.
È molto socievole.
Ci salutiamo.
Viene naturale parlare, conoscersi meglio. Come si fosse amici da chi sa quanto.
È lì a portare la cena all'amica gelataia. Una ragazza minuta con il pearcing vicino le labbra. La stessa conosciuta qualche granita fa. Allora aveva un ascesso grosso grosso.
Senza clienti da accudire anche lei si è seduta sulla panca.
Un attimo di pausa.
Il momento giusto per addentare il kebab.
Domani stefino chiude.
Potrà raggiungere il ragazzo a viterbo.
Sarà per la magrezza, per l'assenza di sorriso, gli occhi provati.
Si percepisce una tristezza cronica.
Poche le speranze di cambiare le carte in tavola.
La chiusura inaspettata della gelateria la proietta verso una dimensione inusuale. Quella della vacanza.
Eppure la lieta novella non sembra scuoterla più di tanto.
Quasi avesse preferito continuare a distribuire granite all'infinito. Così avvezza a lavorare senza sosta.
Nonostante tutto è dolcissima e disponibilissima.
Come può esserlo chi è già morto già ma non abbastanza per esalare l'ultimo respiro.
A guardarlo il suo amico potrebbe essere uno squatter.
È senza lavoro.
Nemmeno lo cerca.
Cacciato a forza fuori dalla società "civile" prova a trovare una nuova dimensione.
In fondo ricorda uno di quei personaggi di zavattiniana memoria filtrata però dall'immaginazione di un jarry. Patafisica esistenziale di un'umanità allo sbando capace di tirare fuori dal cilindro soluzioni impossibili. Non senza essere eccentriche e disperate. La stessa immortalata nelle periferie romane da pasolini o in quelle milanesi da de sica. Solo mezzo secolo dopo. Giusto per confermare la famosa legge dei ricorsi storici. Avanti e indietro dall'abisso. Al momento a tutta velocità verso un nuovo imbarbarimento. Magari la possibile soluzione per uscire da questa crisi profonda.
Vorrebbe procurarsi una macchina per pulire il marmo dei portici. Per liberarlo da tutto quel nero appiccicoso accumulatosi in tanti anni di abbandono. Così. Senza chiedere il permesso a nessuno. Di sua iniziativa. Per dare nuovo lustro a quella via normalmente invivibile. La speranza provare a sopravvivere con le mancie spontanee. Senza chiedere nulla a nessuno. Giusto per tirare a campare. Il cibo, le sigarette, un giaciglio. Niente più.
Al di là di tutto si è tutti sulla stessa barca.
Uno spoliamento continuo.
Velo dopo velo.
Per provare a portare alla luce lo zoccolo duro residuale.
Quella vita nuda non barattabile con altro.
È ora di andare.
Ci salutiamo con affetto.
La speranza di incontrarci ancora.
Pure oggi è andata.
Un nuovo miracolo.
Un'altra storia da raccontare.
Alleluja.

mercoledì 1 agosto 2012

Movida

Estate.
Strade vuote.
Poche macchine.
Un silenzio irreale.
Solo qualche isola di umanità tra tanto asfalto e cemento.
Lì si riversa chi è rimasto.
In massa.
Una via intera gremita di persone.
Al punto di invadere il parco circostante fino al navile.
Una marea di gente incastrata a mosaico.
Chi seduta al tavolo, chi in piedi, chi a terra.
A fare chiacchiere.
A chiudere circonferenze.
Stanno lì per ore.
Quasi immobili.
Con lo stesso incedere lento.
Un bla... bla... infinito.
Appena sussurrato.
Una sinfonia di brusii sovrapposti invade ogni angolo.
Cosa avranno da dirsi per così tanto tempo.
Niente di eclatante.
Almeno a vedere le loro espressioni composte.
Un fiume di parole incapace di eccitarli, di farli esclamare forte qualcosa o alzare di scatto.
Quando solco quella strada in bici li avverto come delle controfigure pagate per stare lì a posta a fare tappezzeria, a riempire il vuoto. Per permettere quell'immensa finzione della vita quotidiana. A loro il compito di animare una città altrimenti desolata, di darle una parvenza di normalità.
Se trovo qualche conoscente fermo la bici, entro nel giro. Una prassi comune.
Pochi minuti di chiacchiera inutile e già la noia sale irreversibile.
Nulla a ostacolarla, a silenziarla.
Mattoni di parole segnate pesantemente dal lavoro, da questioni familiari, da problematiche relazionali, dai figli, dalla voglia di vacanze esotiche si assemblano l'una sull'altra come un muro impenetrabile.
Alla fine circondato dal niente alzo i tacchi.
Allungo la mano.
Così si salutano.
Poi mi dileguo silenzioso senza lasciare tracce.
Come nulla fosse continuano i loro discorsi.
Ancora un'ora di tempo da ammazzare prima di tornare a casa.
In sella alla bici cerco altre situazioni.
Niente di eclatante all'orizzonte.
Rimane solo l'attesa infinita di un nuovo regime vitale.
Intanto guardo la luna crescere in cielo.
Tra pochi giorni sarà piena.
Allora scomparirà anche lei. Almeno per un po'. Centimetro dopo centimetro. Come non fosse mai stata.