mercoledì 28 novembre 2012

Stella della notte

Fino a quel momento non aveva avuto buoni pensieri.
Era da solo in biblioteca davanti un testo ostico.
Il tempo che ci resta.
Un titolo senza dubbio messianico.
Per quella sera non aveva ancora sentito nessuno.
La luna era sul punto di compiersi.
Da lì a poco sarebbe scomparsa lentamente fino a confondersi del tutto con la notte.
Viveva una fase critica di destrutturazione. Come se anche lui dopo aver toccato il culmine stesse sul punto di sgretolarsi in tanti pezzettini.
In quei frangenti a rompersi non erano solo i suoi pensieri ma anche le cose in uso a lui vicine.
Le ruote della bici, il computer, il forno...
Quel giorno era toccato alla cerniera della tuta gialla da corsa.
Ormai non si stupiva più.
Quello era solo l'inizio di una morte lenta prima di trasfigurarsi in altro.
Non voleva stare da solo.
In sala non aveva incontrato nessuno di sua conoscenza. Tra una pagina e l'altra percepiva tutta la sua estraneità tra quei studenti disciplinati e silenziosi.
Non voleva assecondare quel trand, andare a casa a vivere quel vuoto immenso. Come un abbandonarsi incondizionato. Non era nelle sue corde. Piuttosto sarebbe stato meglio non esserci, al limite dormire fino al termine di tutto.
Da un lato tesseva soluzioni, dall'altro le disfaceva con altrettanta velocità. Tanto quanto sarebbe accaduto da lì a poco sarebbe stato altro. Oramai lo sapeva per esperienza. Doveva solo affidarsi ciecamente. Come il solito. Un salto nel buio. Poi qualcosa sarebbe successo.
Eppure ci aveva provato fino all'ultimo.
Si era invitato a cena da una sua amica.
Con lei si sentiva bene.
Ma niente da fare.
Era già impegnata.
Saggio sarebbe stato fermarsi, sospendere i pensieri.
Piuttosto valeva più muoversi alla cieca.
Trascinati dal corpo così come capita.
Lasciar fare agli eveni.
Quella sera passò pure all'elastico.
Chiuso.
Giocata pure l'ultima spiaggia.
Dopo c'era solo la strada dritta verso casa.
Sconsolato si stava per avviare con la bici al suo fianco. Non del tutto domo qualcosa lo tratteneva ancora, si frapponeva tra lui e il suo cammino.
Poi una voce.
Ei...
Nella strada oscura una figura nera nascosta sullo sfondo nero senza luce. Era stato sufficiente un passo in avanti per smarcarsi da tanto buio e far emergere in contrasto la silouette.
Un'apparizione inattesa.
Per certi versi sorprendente.
Quasi ci fosse stata una porta segreta.
Non la riconobbe subito.
Anche perché quella sera fra tutte le persone possibili sembrava la meno probabile.
In passato sarebbe corso da lei senza pensarci su.
Non mi riconosci?
Con un tono di voce piatto, senza tradire particolari emozioni.
Bastò poco per darle un volto, un corpo.
Lucy.
L'amica di sempre.
L'odi et amo più lacerante di quei tempi.
Apertura e chiusura assolute, senza mediazioni.
Vicina e lontana quanto una meteora fuori orbita.
Fu spiazzato.
Come di copione.
Oltre ogni aspettativa.
La soluzione la più ovvia e immediata.
Allo stesso tempo la più difficile.
Il tempo di sfiorarsi le guance e arriva il suo compagno.
Passarono insieme la serata al pratello.
Là trovarono pure un'altra sbandata.
Si unì a loro.
Mangiarono di gusto una piadina.
Poi si incamminarono verso casa.
La serata non verrà certo ricordata come tra le più memorabili.
I toni rimasero bassi, pacati.
Però era quanto ci voleva.
Il massimo per quella notte.









sabato 24 novembre 2012

Fare la festa
















Oggi è giorno di festa.
All'Xm si celebra la crazy bikes' night.
Concerto noise con strumento base la bicicletta.
A seguire gli immancabili dj. Il loro compito accompagnare la notte fino al compimento per lasciare posto al nuovo giorno. Provando a ingannare il tempo per un pò. Arrestandolo quanto più possibile nella terra del tra.
La serata dovrebbe cominciare alle dieci.
A mezzanotte non c'è ancora nessuno.
Arriverà qualcuno?
Per il momento ci si guarda negli occhi in silenzio aspettando si compia ancora il miracolo. L'esodo di massa di tanti giovani. Manco fosse nato il messia. Pronti in adorazione verso lo stregone di turno in grado di compiere la magia. Far muovere i loro corpi incantandoli a suon di musica. Come marionette stordite da tale potenza bassa. Un colpo ben assestato alle viscere tale da scuotere la kundalini addormentata.
Sul palco sopraelevato gli orchestratori di turno.
Quello il luogo del sacrificio.
Quando ci si consegnerà fino all'ultima goccia in pasto al popolo dei gaudenti spensierati.
Momento di esaltazione estrema di discesa agli inferi allo stesso tempo.
Per rinascere ancora chissà come.
Difficile fare previsioni.
Vale più abbandonarsi incondizionatamente senza remore.
Anche perchè li sopra si è da soli, nudi con sé stessi.
Tutto il resto è oltre avvolto dalle tenebre.
Si odono solo le voci sommesse.
Vai...
Siii...
Così...
Noooo.
Dai o...
Il gioco di luci annebbia tutto.
Meglio non alzare lo sguardo per non essere accecati.
La cassa spia, quella di ritorno per il musicista spara una musica distorta. 
Irriconoscibile.
Dissociati da tutto si va avanti alla cieca.
Qualcosa laggiù succederà.
Il burattinaio dietro le quinte muove i fili ma non vede le marionette. Autismo puro. Solipsismo all'ennesima potenza.
Unica finestra disponibile il monitor del computer.
Piegati all'inverosimile su se stessi, con lo sguardo fisso su quella superficie piatta si prova a articolare un mondo effimero.
Il tempo di crearlo per vederlo scomparire all'istante. Dopo di lui non resterà traccia. Tutto finirà lì. Quando si spegnerà il computer. La morte lo stesso donarsi. Apparire solo per scomparire subito.
Mesi e mesi di ricerca, di prove a casa consumati in un baleno. 
È giunto il tempo di svuotarsi di tutto. 
Di spogliarsi fino all'osso.
Alla fine ci si sente prosciugati, nudi, bisognosi di una nuova copertura.
Meglio se una veste di gloria.
Fondamentale il primo impatto con il pubblico.
I primi commenti.
Da lì dipende l'esito del giudizio finale.
Inferno o paradiso?
Ai posteri l'ardua sentenza.
Eppure anche quando va bene non basta.
Quella sensazione di vuoto soffocante rimane.
Difficile la ricomposizione.
Come mettere insieme quanto vissuto sul palco con quanto incarnato dai presenti giù di sotto.
Una separazione all'apparenza irricomponibile.
Due piani trascendenti al massimo tangenziali in quel punto presente.
La vita.
Ognuno presa a modo suo.
Difficile poi la loro articolazione solo a posteriori.
A cose fatte.
Rimane una latenza di fondo tra l'agito e l'effetto.
Rivivere immaginando non è la stessa cosa.
Un gettarsi ogni volta di spalle nel vuoto.
Ci sarà qualcuno a sostenerti, a contenerti?
Ma poi...
Chi te l'ha fatto fare?

martedì 20 novembre 2012

Questioni di grazia















Aveva già una certa età.
Con lui però la natura era stata abbastanza clemente.
Aveva qualche capello bianco ma al confronto dei suoi coetanei non si poteva lamentare.
Certo si era impegnato molto per mantenersi bene.
Sempre nell'ottica di migliorarsi aveva provato a rendere più funzionali i difetti congeniti. Però nonostante tutto quando si muoveva era ancora un pò impaccaito. I suoi gesti non erano naturali. Il problema più grosso le articolazioni fragili. 
Da sempre ne aveva sofferto.
Come avesse una spina nella carne quando camminava non si sentiva libero. Spesso per il dolore perdeva il centro di gravità e si muoveva a scatti quasi fosse una marionetta arrugginita.
Con tutto se stesso provava a riequilibrarsi per trovare dei movimenti aggraziati. Ma più si applicava tanto più la situazione gli sfuggiva di mano.
In bici però era un'altra musica.
Qualcosa di magico si attivava.
Il suo corpo sopra i pedali a sfidare la gravità sembrava danzare. Lì seduto sul sellino ogni paura, incertezza venivano meno. Tutti i movimenti erano in armonia con il mezzo.
Spesso al limite dell'incoscienza si gettava a tutta birra nel traffico.
Senza guardare da nessuna parte gli veniva naturale schivare gli ostacoli di fronte come fossero birilli. Tutto senza sforzo. Quasi avesse trovato il giusto equilibrio con il mondo, con tutto quanto vi stava sopra. Pedoni, bici, buche sull'asfalto. Ogni gesto veniva automatico. Senza pensarci troppo.
Il momento più emozionante il passaggio alla rotonda. Quando un flusso caotico di auto indisciplinate si faceva strada prepotente.
A tutta birra vedeva le macchine al suo fianco rallentare nervosamente. Senza indugiare si buttava in mezzo tra una macchina e l'altra. I guidatori ignari non avevano neanche il tempo di frenare. Lui era già dall'altra parte con una precisione millimetrica. Un'incertezza di troppo e sarebbe stato fatale.
Non aveva paura.
Sopra la bici si sentiva un dio. E sfidava le normali regole sociali come gli fosse tutto consentito o possibile.
Il piacere dopo era immenso.
Quasi toccasse il cielo con un dito.
Tale gesto era così veloce da lasciare di stucco il guidatore ignaro.
Cos'era stato?
Chi era quel pazzo?
Spesso rimaneva sorpreso anche lui.
Di certo se avesse provato a ripetere quella manovra apposta non vi sarebbe riuscito né avrebbe saputo spiegarne con precisione la dinamica.
Anche il dolore alle ginocchia passava in secondo piano quasi non ci fosse più.
Per un momento tutti i suoi pensieri si sospendevano diventando tutt'uno con la bici o meglio dando tutta la sua anima al mezzo meccanico.
Una fusione perfetta.

domenica 18 novembre 2012

Di lì non si passa















Domenica d'autunno.
Cielo terzo.
Aria plumbea.
Eppure bisogna vivere, inventarsi qualcosa.
Non si può stare tutto il giorno barricati in casa.
Esco.
Direzione navile.
Il canale vicino casa.
L'antica via di comunicazione verso il mare.
Da più di un anno non ci metto piede.
Troppe le vicissitudini in mezzo per riuscire a perdersi nel sentiero lungo la riva.
A un certo punto imbocco la solita strada senza uscita.
Dopo il ponte l'accesso al parco fluviale.
Non prima di aver attraversato la terra di nessuno.
Lo spazio interstiziale tra il rigore cittadino e l'andamento anrchico della natura.
Lì in mezzo forme di vita insolite spesso costrette a fronteggiare situazioni poco compatibili con l'esistenza.
Un anno soltanto.
Eppure quel luogo sembra un altro.
Segnato a forza da un cieco fare umano.
Ancora pochi passi prima di uscire dal tunnel buio per scorgere in lontananza una barriera di legno alta più di due metri a serrare la strada. Neanche fossimo a gaza.
Di lì non si passa.
Un recinto austero, impenetrabile circoscrive l'area dove sorgerà la nuova facoltà di chimica.
Più in là c'è il cnr.
Un alto palazzo in cemento dalle forme strane sigillato dal resto del mondo.
Da lontano sembra una fortezza inespugnabile.
Impossibile evitarlo.
Anche per il fastidioso ronzio delle ventole dei potenti condizionatori d'aria.
Torno indietro.
In cerca di un'altra via percorribile.
L'obiettivo il sostegno più a valle distante circa un km.
Da lì si dovrebbe imboccare il sentiero dalla parte opposta.
Non prima di aver aggirato l'enorme curvone della ferrovia sopraelevata.
Lungo la strada erbosa, quella di tante corsette estive, altri cambiamenti.
Nuove recinzioni per delimitare terreni sormontati da vecchie case ristrutturate. Un make up solo superficiale per invogliare qualche ignaro acquirente.
Tutt'intorno cumoli di terra sollevati dalle ruspe.
Mattoni, lattine, pietre, vetri mescolati alla rinfusa.
L'ordine naturale così alterato non predispone l'animo verso buoni sentimenti.
Certo anche il clima non aiuta.
La somma di tutto è una sensazione di desolazione penetrante come il gelo. Quasi si fosse immersi in un deserto ostile e inquietante. Nell'attesa di una possibile trasformazione rivitalizzante.
Complice la trilogia navile, il nuovo progetto al posto del vecchio mercato ortofrutticolo, una enorme distesa abbandonata dove sono cominciati a spuntare palazzi come funghi, il perimetro della cosiddetta civiltà si è esteso a macchia d'olio travolgendo tutto quanto le si opponeva.
La volontà di catturare gli spazi naturali ancora selvaggi per tramutarli in terre abitabili è inarrestabile.
Circa mezzo chilometro la fascia interessata.
Qualcuno lontano da lì ha pensato di accerchiare quei luoghi da tutte le parti. Come se stesse giocando a risico con i carrarmatini di plastica sostituiti però nella realtà dai buldozer.
Ne fanno le spese i cittadini ignari.
Là dove prima c'era un parco vivido ora è terra morta privata all'uso comune.
Dopo un lungo camminare arrivo dall'altra parte.
Anche lì il sentiero è interrotto da una rete arancione tappezzata di cartelli.
Impossibile procedere oltre.
Gli unici a goderne gli animali selvatici della zona, qualche migrante senza fissa dimora alloggiato sotto le alte arcate del ponte della ferrovia.
Torno a casa silenzioso.
Consapevole di essere ancora più assediato, con meno spazio vitale.
Ma non bisogna disperarsi troppo.
Con le spalle rivolte alla città è ancora possibile trovare un qualche rifugio perdendosi tra le anse sinuose delle acque.
In attesa del tramonto.
Quando tutto si placa.


giovedì 15 novembre 2012

Massa damnationis

Alla fine pare avesse ragione lui.
La terra è insalvabile.
Solo pochi gli eletti.
Il resto la massa di dannati da amministrare.
Fallita ogni speranza di salvare il mondo si spalancano solo le porte dell'inferno.
La cieca amministrazione economica della storia gira a vuoto su se stessa come una macchina in corsa senza pilota. Ferita mortalmente sa solo accanirsi su chi è sopravvissuto.
Tutti sono colpevoli.
Tutti devono pagare il fio della colpa di essere nati.
L'unica speranza un'apocalissi integrale.
Intanto che fare di questo mondo perso all'origine?
Aspettare la fine.
Amministrandola.
Con scrupolo.
Campo di concentramento a ciel sereno di perdenti insalvabili.
Nell'attesa della grande mietitrice.
L'unica in grado di controbilanciare quell'atto di sfida.
Il voler essere qualcosa qualcuno.
Ma anche lei va a rilento.
Da sola non ce la fa.
Nel frattempo la macchina governamentale non ne vuole sapere di fermarsi.
Non è nella sua natura.
Senza scopo rimane solo da infierire sul cadavere moribondo di un'umanità in frantumi.
Per accompagnarla alla fine prima possibile.
Non senza sofferenza.
Dopo tutto della terra di mezzo non rimarrà memoria.
Allora i morti saranno solo morti.
Niente li tratterrà ancora in vita come fantasmi immortali.
Nessun grido o lamento verrà ricordardato.
Un velo di silenzio coprirà tutto.
Solo allora si spalancherà il tempo della gloria per i pochi sopravvissuti alla destra del padre.